E’ innegabile, quando si parla di pensioni, l’Italia naviga a vista, stretta da una parte tra “anziani” che non si ritirano mai (essendo stata portata l’età pensionabile a 67 anni e 7 mesi), ma di cui le aziende vorrebbero liberarsi, e dall’altra da un mix di nascite carenti e giovani che non riescono ad impiegarsi. Se a questo si aggiunge un mercato del lavoro che se non è immobile è precario, si capisce perché il flusso di entrate garantite dai contributi è destinato ad assottigliarsi sempre di più. E allora sorge spontanea la solita domanda: percepirò mai la mia pensione? E se sì, in quale misura?
Difficile dirlo, soprattutto alla luce dei recenti tentativi del governo di trattare con i lavoratori “anziani” desiderosi di un anticipo sul pensionamento con decurtazioni tra il 10 e il 30% dell’assegno. Forse la risposta rimane una e prende il nome di Fondo pensione complementare. Di cosa si tratta? Semplice. Si parla di previdenza complementare con riferimento ad un versamento supplementare rispetto ai normali contributi, ma non obbligatori né sostitutivi. Di fatto, si crea per chi sceglie questa forma, un conto presso cui vengono effettuati dei versamenti che prenderanno il via verso i mercati finanziari.
All’età pensionabile, l’aderente potrà avere l’importo maturato in due forme:
- rendita
- capitale
La legge che regolamenta la previdenza complementare per i dipendenti del settore privato è contenuta nel D.Lgs. 252 del 2005 ed ha come obiettivo proprio quello di facilitare l’accesso a forme pensionistiche “diverse” da quella tradizionale ed obbligatoria con la possibilità di destinare a questi fondi il proprio TFR. Ci sono fondi di varia natura che vanno da quelli preesistenti il D.Lgs. 124/1993 fino a quelli cosiddetti Negoziali che vengono istituiti su accordi dei rappresentanti delle parti sociali (lavoratori e datori di lavoro) e si muovono dentro la contrattazione nazionale o aziendale.
A queste forme si affiancano anche i Piani Individuali Pensionistici tipici del mondo assicurativo ed i Fondi Aperti propri del settore bancario. Una delle possibilità più interessanti è costituita dal Fondo Pensione Complementare di PosteVita di cui è possibile scaricare tutte le informazioni sul sito, potendo anche stimare, attraverso un apposito strumento, quanto si percepirà al momento del ritiro dal mondo del lavoro. Un lavoratore dipendente, dunque, il cui contratto nazionale o aziendale preveda questo tipo di Fondo, ha la possibilità di destinare ad esso il proprio TFR con una pari contribuzione da parte del datore di lavoro, fornendosi dunque la possibilità con un 10% della propria RAL di incrementare la pensione statale di un bel terzo!
Questa operazione presenta anche qualche vantaggio fiscale in quanto la contribuzione al Fondo PosteVita è deducibile dal reddito fino ad un tetto massimo. Il rendimento annuo è tassato a seconda degli investimenti effettuati (se su titoli italiani, la tassazione è al 12,50%). Un’ulteriore aliquota del 15% sarà applicata sulle prestazioni finali (rendita o capitale) applicata sui soli redditi non tassati precedentemente con sconti che in realtà limiteranno di molto la tassazione. Al momento del pensionamento, e non prima di cinque anni di partecipazione, dunque, sarà possibile riscuotere il dovuto riuscendo a vivere all’altezza delle proprie aspettative e concedendosi il meritato riposo!